ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

11/17/2025 | Press release | Distributed by Public on 11/17/2025 10:34

La scommessa americana su MBS

  • Daily Focus
    di Alessia De Luca
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La visita del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Mbs) alla Casa Bianca di domani, 18 novembre, sarà al tempo stesso un incontro amichevole con Donald Trump e un'occasione per stringere accordi commerciali e di difesa. Per l'erede alla corona saudita, il viaggio segna un ritorno a pieno titolo sulla scena politica di Washington. La sua ultima visita, nel 2018, fu oscurata dall'indignazione internazionale per l'omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, avvenuta nel consolato saudita di Istanbul. Anche se la monarchia nega ogni responsabilità nella vicenda, è ampiamente ritenuto che l'erede al trono saudita avesse "autorizzato" l'operazione che determinò l'uccisione del giornalista. Da allora, tuttavia, i rapporti bilaterali si sono ampiamente ripresi e quando Trump è tornato in carica nel gennaio 2025, la sua prima visita all'estero è stata a Riyadh, dove è stato accolto con l'annuncio di un investimento di 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti. Nel corso del loro incontro a Washington, i due parleranno di intelligenza artificiale, investimenti e collaborazione in vari settori. Il cuore dei colloqui però, riguarderà difesa, sicurezza e nucleare. A giugno scorso, Israele e Stati Uniti hanno attaccato gli impianti nucleari iraniani. E a ottobre - dopo che Israele aveva preso di mira la leadership politica di Hamas in Qatar - un fragile cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti ha interrotto quasi due anni di guerra a Gaza. Secondo diversi osservatori, MBS vorrà concludere un accordo sulla sicurezza che sia valido almeno quanto quello che Trump ha siglato di recente con il Qatar, in un momento di grande incertezza per tutto il Medio Oriente.

Riforme e contraddizioni?

Sette anni dopo la vicenda Khashoggi, MBS si presenta alla Casa Bianca come un mediatore di pace, che sta riparando i legami con l'Iran, sostenendo il cessate il fuoco e la ricostruzione a Gaza e favorendo il ritorno della Siria nel consesso dei paesi arabi. Una svolta sorprendente da parte di un principe un tempo etichettato come autocrate incline all'avventurismo, dopo l'incarcerazione di centinaia di membri dell'élite saudita, le dimissioni forzose dell'allora premier libanese Saad Al-Hariri e per essersi lanciato in una sanguinosa guerra in Yemen. Ma col tempo, e mostrando doti di pragmatismo e visione, MBS si è ritagliato un ruolo di leader audace per il paese di cui sta guidando una complicata trasformazione. In meno di un decennio, l'Arabia Saudita ha cambiato volto: il principe ha disarmato la polizia religiosa, emarginato i leader religiosi più oltranzisti e spazzato via decenni di austeri codici sociali. Le donne ora possono guidare e lavorare, seppur in modo limitato, mentre la monarchia cerca faticosamente di trasformare la propria immagine da teocrazia claustrofobica a nazione proiettata verso la modernità. Il suo, però, è un sistema denso di contraddizioni: la stessa mano che ha aperto la società saudita domina la vita pubblica mentre ogni forma di dissenso è stata schiacciata e i critici messi a tacere. Il messaggio è inequivocabile: la trasformazione del paese procede alle condizioni imposte dal principe il suo prezzo è la lealtà assoluta ad MBS.

Una partnership fondata su interessi comuni?

D'altro canto, anche il principe ereditario deve tener conto degli equilibri circostanti. La modernizzazione racchiusa nel suo 'Vision 2030' dipende in ultima analisi da due fattori: gli alti prezzi del petrolio, perché ciò che sta facendo è straordinariamente costoso, e l'assenza di conflitti, perché investitori e turisti difficilmente arriveranno se razzi, droni e missili continueranno ad attraversare i cieli del Medio Oriente. Mai come nell'ultimo anno, entrambi questi obiettivi si sono mostrati difficili da ottenere. Eppure, sebbene MBS arrivi a Washington come 'semplice' capo di governo, Trump lo riceverà con la cerimonia completa di una visita di Stato. Per il presidente Usa, si tratta di costruire una partnership moderna fondata su interessi comuni: stabilità regionale, integrazione della difesa e interdipendenza economica. Ciò che conta ora è che gli Stati Uniti hanno bisogno di partner affidabili e che l'Arabia Saudita ha bisogno di alleati che riconoscano la sua trasformazione e il suo ruolo centrale nel mondo arabo e islamico.

Accordi di Abramo: partita rinviata?

Se per MBS il vertice di Washington significa soprattutto sicurezza e stabilità, per Trump Riyadh è una pedina imprescindibile della sua architettura regionale. Prima dell'attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023, che diede inizio alla guerra a Gaza, Israele e Arabia Saudita erano apparentemente sul punto di firmare un accordo di normalizzazione mediato dagli Stati Uniti, parte dei cosiddetti Accordi di Abramo. Altri paesi arabi, ossia Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Sudan e Marocco, avevano già normalizzato i rapporti con Israele nel 2020 e nel 2021. Per Riyadh, l'accordo avrebbe avuto più i connotati di un accordo trilaterale, con gli Stati Uniti che avrebbero fornito garanzie di sicurezza, protezione e supporto simili a quelli che gli Stati membri della Nato ricevono dall'Alleanza. Tuttavia, dopo l'inizio della guerra a Gaza, l'Arabia Saudita ha escluso ogni possibilità di firmare un'intesa con Israele, a meno che non venga creato un percorso credibile verso una la creazione di uno Stato palestinese indipendente. Una proposta pubblicamente respinta a più riprese dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Nonostante questa contraddizione, Trump ha ripetutamente affermato di credere che l'Arabia Saudita aderirà agli Accordi di Abramo. Se la normalizzazione non è possibile ora, infatti, non significa che non possa tornare sul tavolo. In Medio Oriente, le porte raramente si chiudono: si socchiudono, aspettando il momento giusto per essere riaperte.

Il commento di Eleonora Ardemagni, ISPI Senior Associate Research Fellow

"In cima all'agenda della visita di Mohammed bin Salman alla Casa Bianca c'è la difesa, non i dossier regionali. Dopo l'attacco iraniano a Saudi Aramco (2019), la guerra Israele-Iran (2025) e il doppio attacco in Qatar (2025), la visita del principe ereditario sarà un successo soltanto se servirà a portare a casa garanzie di sicurezza scritte da parte di Washington. Un ordine esecutivo di Trump, come quello già ottenuto dal Qatar, non può bastare, agli occhi dei sauditi, senza un accordo rafforzato di difesa che getti le basi per i nuovi assetti di sicurezza del Golfo. Evidenziando, inoltre, il rango di Riyadh tra le monarchie". (Continua a leggere)

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