09/12/2025 | Press release | Distributed by Public on 09/12/2025 08:11
In Friuli Venezia Giulia, 2.500 addetti coinvolti
Un contratto integrativo che non si rinnova da 14 anni, stipendi bassissimi a fronte di responsabilità gravose, mezzi ed equipaggiamenti che non garantiscono la sicurezza: ad essere in questa situazione sono i 2mila 500 lavoratori del comparto della vigilanza privata e servizi fiduciari (armati e non armati) del Friuli Venezia Giulia, che dal 19 agosto scorso hanno bloccato le prestazioni di lavoro straordinario (blocco che durerà almeno fino al 16 settembre) e che oggi hanno proclamato l'astensione dal lavoro su tutti i turni. Uno sciopero, che sta vedendo (al momento in cui si scrive) percentuali di adesione importanti, con punte dell'80%, e che le sigle regionali di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil hanno proclamato per dire basta ad una situazione ormai insostenibile. "È impensabile - sostengono i segretari Marika Baio, Diego Marini e Matteo Calabrò - che il tavolo sul rinnovo degli integrativi non venga concesso, lasciando di fatto il settore in balia di quanto decidono di fare o applicare le singole aziende". Per i sindacati ci troviamo, infatti, in una situazione da far west, dove ormai tutto e lecito e dove le aziende fanno di tutto per accaparrarsi i lavoratori. "Eppure - incalzano Baio, Marini e Calabrò - si tratta di un settore strategico che andrebbe tutelato se si pensa che, attualmente sono proprio gli addetti alla vigilanza privata a garantire, la copertura di molti siti, anche governativi, prima affidati alla gestione delle forze dell'ordine. Siamo di fronte all'esercizio di compiti di grande responsabilità , e nel caso della vigilanza privata confermata anche dalla detenzione dell'arma, ma rispetto ai quali non c'è una contropartita né economica, né normativa". Stando a Filcams, Fisascat e Uiltucs, infatti, il reddito mensile netto di un addetto è di circa un migliaio di euro, senza contare anche che un lavoratore della vigilanza deve accollarsi, ad esempio, il costo di alcuni strumenti di lavoro, come ad esempio quello della pistola, con tutte le conseguenze nel caso in cui decida di cambiare lavoro e debba cessare il porto d'armi. Oltre a questo - è stato riferito dalle tre sigle sindacali, stamani in conferenza stampa - urge arrivare ad un tavolo anche per portare l'attenzione su alcune gravi criticità in cui versa il settore: certamente quello dei salari, ma anche quello della sicurezza. "I nostri lavoratori - spiegano Baio, Marini e Calabrò - riferiscono di mezzi obsoleti, ma anche di dotazioni inadeguate, basti pensare, per fare un esempio, ai giubbotti antiproiettile scaduti che sono stati riscontrati in alcune realtà. È chiaro che in questo modo si mette a repentaglio la sicurezza degli addetti, che spesso comunque si trovano a lavorare da soli in situazioni e siti di potenziale rischio". Se il contratto nazionale dovrebbe essere rinnovato il prossimo anno, quello che preme ora è la contrattazione di secondo livello, con Filcams, Fisascat e Uiltucs che chiedono a gran voce un tavolo regionale e l'adozione di un contratto integrativo di livello regionale, che superi la dimensione delle ex provincie e che detti regole uguali per tutti. "Non è possibile - incalzano i tre sindacalisti - che oggi che due lavoratori che operano per una azienda multilocalizzata ma in territori diversi abbiano differenze normative e retributive, a parità di mansione. Tutto questo va regolamentato e tolto dal libero arbitrio di cui oggi le aziende si avvantaggiano".