09/10/2025 | News release | Distributed by Public on 09/10/2025 07:18
«Con mia grande meraviglia vidi, sospesa a pochi metri dal fondo, un'insegna luminosa con la scritta "Bar". Verso di essa si dirigeva tranquillamente, camminando come un palombaro, il vecchio della gardenia. Come in un sogno nuotai anch'io verso quell'insegna che illuminava l'acqua di azzurro».
L'inizio del Bar sotto il mare (1987) rammenta che cosa significhi leggere Stefano Benni: immergersi senza fatica in un universo popolato da creature della fantasia e personaggi reali trasfigurati in tipi fissi, affrontare allucinazioni, speranze, paure. Per seguirlo nelle traiettorie delle sue invenzioni non occorre altro se non una buona dose di sospensione dell'incredulità. «Non so se mi crederete», stuzzica la voce narrante; «Passiamo metà della vita a deridere ciò in cui altri credono, e l'altra metà a credere in ciò che altri deridono».
La cifra stilistica di Benni, al crocevia tra racconto postmoderno, apologo surreale e fiaba per bambini, è tutta in queste parole. Fantastico, fantascientifico, una spolveratura di realismo magico convivono nella sua scrittura: sui giornali, nelle narrazioni in prosa e in poesia, nei libri illustrati, a teatro, nelle sceneggiature, nei testi per la televisione. Generazioni di lettori sono cresciute sulle sue pagine, a partire dalle cronache di Bar Sport (1976), opera di culto pubblicata nel mezzo di un decennio instabile. Benni ha ventinove anni e arriva alla narrativa dalla satira politica: in Bar Sport non c'è evasione, semmai il controcanto ironico di un'Italia dei margini, non lambiti né dal miracolo economico, né dalle incertezze degli anni settanta.
È il ritratto di un'antropologia in via di estinzione e presto estinta (Bar Sport Duemila esce nel 1997) anche lungo le vie di quell'Emilia che è il sostrato della sua lingua e del suo immaginario. Il tempo, assente, diventa un personaggio al pari degli altri. Non è un caso che le storie di Benni si svolgano di preferenza in spazi chiusi o isolati, impermeabili a esso; oppure, al contrario, in sistemi travolti dal suo scorrere rapido, troppo rapido. È quanto accade in Terra! (1983), romanzo apocalittico, emblematico del passaggio tra anni Settanta e Ottanta, nel quale spettro della guerra fredda e incubo nucleare si intrecciano con le preoccupazioni ambientali.
Scrittore quanti altri mai politico dietro al filtro della finzione e dell'ironia, Benni ha ritratto le trasformazioni di un paese e ne ha additato le derive. Ha trovato nei bambini e nei ragazzi i propri lettori ideali, tanto da renderli protagonisti di molte storie. Ci si potrebbe chiedere il perché di una scelta simile, ma la risposta appare scontata: i più piccoli non sono ancora corrotti dall'indifferenza dell'età adulta e dall'ansia del potere. Vivono ai margini e dai margini sanno fare una forza della loro debolezza. Questo insegnano La Compagnia dei Celestini (1992) e Elianto (1996), diventati negli anni classici young adult, o Margherita Dolcevita (2005), recentemente uscito in una ristampa celebrativa da Feltrinelli, l'editore cui Benni è stato legato per quarantacinque anni.
Ora che è scomparso, rimangono i suoi libri a suggerire che per progettare il mondo, per dargli una forma diversa e migliore rispetto a quella che ha, bisogna parlare ai giovani, anche a quelli che sopravvivono dentro la scorza dei grandi. Loro sì che sono capaci di credere in ciò che nessuno osa deridere.