09/25/2025 | Press release | Distributed by Public on 09/25/2025 01:14
INTERVISTA AL MAESTRO SULLE PRESE DI POSIZIONE DEGLI ARTISTI - Prima Pagina
L'INTERVISTA | Riccardo Muti «È giusto che un artista si schieri ma dico no ai proclami sul palco»
II Premio Cavour 2025 va al maestro Riccardo Muti. A consegnargli il riconoscimento, oggi a Santena (Torino), città di Camillo Benso, è Marco Boglione, presidente della Fondazione Cavour.
Maestro, nella motivazione del premio si parla di valori cavouriani incarnati nella sua attività musicale, quale sente più suo?
«SUI dall`infanzia, in guerra, poi nella ricostruzione, ho imparato che l'Italia non è solo un luogo geografico, ma un`identità intima. Ci venivano "iniettati" a scuola, in famiglia questi valori come il senso di patria. E Cavour stava lì, insieme a Mazzini, e Verdi: non solo politici o compositori, ma voci che hanno aiutato gli italiani a riconoscersi».
Oggi secondo lei l'Unità di Italia è a rischio?
«L`Italia ha una storia straordinaria, unica. Le sue radici affondano in un patrimonio culturale, umano e artistico che continua a definire chi siamo. Non parlo di stirpe, ma di popolo e di identità da non confondere con nazionalismo o chiusure. Quando sono a Chicago, nel freddo, esco dal teatro e vedo scolpiti Michelangelo, Raffaello, e altri grandi italiani all`Art Museum. Vedere quei nomi mi riscalda. La mia fortuna è nata qui e la bellezza che abbiamo creato è il fondamento su cui ancora oggi possiamo stare in piedi».
Verdi, Rossini, Donizetti: che responsabilità sente nel rappresentare questi compositori nel mondo?
«Ho creato da anni un'Accademia per giovani direttori d'orchestra, per trasmettere non solo la tecnica ma il valore culturale dell`opera italiana. Ogni volta che dirigo Verdi o Rossini, sento che porto con me una storia che non può essere banalizzata. Credo che la musica sia politica non nel senso partitico, ma come forma di partecipazione civile».
Quindi la musica è politica?
«A luglio a Ravenna c'è stata una grande "chiamata alle arti". Da tutta Italia sono arrivati cori amatoriali, cantanti, appassionati, per partecipare a un evento con oltre 3mila persone di tutte le età. Tutti a proprie spese per trascorrere due giorni insieme, lavorando sui grandi cori dell`opera italiana: dal Nabucco al Macbeth, fino ai Lombardi Momenti intensi in cui il canto ha unito le persone. Sant'Agostino diceva "Cantare amantis est", cioè cantare è un atto di amore. La musica è anche espressione dell`anima, ha una dimensione politica ma come la "polis" greca, che significa comunità, partecipazione e armonia. Costruisce ponti. Più di vent`anni fa, cominciai a portare la musica in luoghi segnati dalla guerra. Il primo fu Sarajevo, portammo la Sinfonia Eroica di Beethoven in una città devastata dal conflitto. Da allora, ho continuato un cammino di dialogo e riconciliazione.
La musica, è una forma di comunicazione universale che non ha bisogno di parole per creare legami umani». Secondo lei è giusto che un artista si schieri?
«Certo, l'artista come persona ha il diritto di avere una visione politica ma non credo che il palco debba diventare il luogo per fare proclami. Il pubblico va al teatro per ascoltare un'opera, non per essere educato o indottrinato».
Lei sottolinea spesso l'importanza dello studio rigoroso e dell'umiltà.
«La musica chiede dedizione: studiare, prepararsi, rispettare la partitura e chi c'è accanto. Oggi tutto diventa rapido e spettacolare. Io ho passato decenni a studiare Beethoven, Verdi, Mozart, è la lezione che voglio continuare a dare: musica e cultura sono strumenti di forma zione, comunità e identità».
La spaventa il linguaggio di odio che sembra diffondersi sempre di più?
«Sì, mi spaventa molto, soprattutto per i miei figli e i nipoti. Un tempo, la dialettica tra tesi e antitesi conduceva a una sintesi, oggi l'antitesi non è più un argomento di discussione, è solo un nemico. Non c'è più un tentativo di risolvere i conflitti per il bene comune, ma solo acrimonia e divisione, anche qui da noi. C`è bisogno di un ritorno ai valori che Cavour aveva in mente».
Lei ha detto che la musica è maestra di cittadinanza. Il nostro sistema educativo avvicina i ragazzi alla musica?
«Purtroppo, non si è fatto quasi nulla in questo senso. Ci sono timidi tentativi, ma la realtà è che il nostro patrimonio teatrale e musicale non viene valorizzato. Manca una politica culturale che sostenga i giovani. Tanti come me chiedono più cultura, più investimenti nelle orchestre, nelle scuole di musica. Un esempio che mi ha colpito è la Corea del Sud. A Seoul ci sono ben 22 orchestre sinfoniche dedicate alla musica occidentale, da Beethoven a Brahms. Un esempio di integrazione vera attraverso l`arte». La cultura in Italia è lasciata a se stessa? «La responsabilità non è solo degli italiani, ma di un lungo processo di abbandono. La cultura dovrebbe essere al di sopra delle fazioni, ma a volte è ridotta a semplice strumento di propaganda. I media giocano un ruolo fondamentale. Il mio concerto per Agrigento Capitale della Cultura, in tv è andato all`una di notte, come se ci si volesse "lavare la coscienza". E un segno dei tempi: abbiamo eliminato orchestre Rai storiche come quelle di Roma, Milano e Napoli. L`Italia sta diventando il Paese della storia musicale passata. Dobbiamo rimboccarci le maniche e formare i giovani nel miglior modo possibile».
L'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e l'Italian Opera Academy sono due progetti a cui tiene molto. Come è cambiato il rapporto dei giovani con la musica colta?
«I giovani sono prontissimi. Abbiamo ragazzi straordinari, ricordo durante alcuni eventi, bambini piccoli seduti in prima fila accanto a persone anziane. Il terreno è fertile. E nostra responsabilità coltivarlo. Dice un bellissimo proverbio cinese, "A forza di pensare ai fiori, i fiori crescono"».
C'è il gender gap sul podio?
«Sono discussioni che non mi interessano. Nella mia orchestra giovanile e nei concorsi per giovani direttori d`orchestra che ho organizzato ci sono uomini e donne. Possono farsi chiamare come preferiscono: maestro, maestra, direttrice o direttore. Contano qualità, volontà e studio. Il resto sono etichette inutili. Come diceva Toscanini, l'artista non deve anteporre sé stesso alla musica, non deve diventare il centro della scena».
Ha pensato a un ultimo concerto, a qualcosa che ancora le piacerebbe fare?
«Purtroppo - o per fortuna - c'è ancora tantissimo che vorrei fare. So già che morirò senza aver letto tutti i libri che vorrei. Quello che desidero davvero è vedere il nostro Paese riappropriarsi della propria cultura. Non in modo episodico, un`iniziativa qui, un festival là, ma in maniera strutturale. Vorrei che l'Italia tornasse a essere un faro di cultura nel mondo, come è stata per secoli». -