12/30/2025 | Press release | Distributed by Public on 12/30/2025 09:50
Sorrisi, strette di mano e belle parole, ma nessun progresso sulla situazione a Gaza. L'incontro di ieri alla Casa Bianca tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu si è concluso così, senza annunci né indicazioni chiare sul futuro della Striscia e, più in generale, sull'assetto regionale del Medio Oriente. Dopo oltre un'ora di colloquio a porte chiuse - potenzialmente delicato viste le divergenze tra i due leader sulla gestione del conflitto - Trump e Netanyahu si sono presentati davanti ai giornalisti ostentando una piena sintonia. Netanyahu ha annunciato l'intenzione di conferire a Trump la più alta onorificenza civile israeliana, dichiarando che "il presidente Trump ha infranto così tante convenzioni da giustificare la creazione di una nuova". Un gesto simbolico volto a ribadire la solidità del rapporto bilaterale, nonostante le tensioni emerse nel corso del 2024 e la crescente insofferenza di Trump nei confronti di alcune politiche di Israele. Trump ha ricambiato il favore assicurando che il loro rapporto "è straordinario". Inoltre, definendo Netanyahu "un vero leader "in tempo di guerra", ha minimizzato le preoccupazioni sul fatto che Israele non si stia muovendo abbastanza rapidamente verso la seconda fase dell'accordo di pace per Gaza, attribuendone invece interamente la responsabilità ad Hamas.
Dietro i toni adulatori però, la sostanza rimane immutata. L'incontro si tiene in un momento di reale attrito tra i due leader, e le parole di elogio mascherano sentimenti di probabile reciproca irritazione. Da settimane la Casa Bianca tenta di esercitare pressioni su Israele affinché consenta il passaggio alla seconda fase del piano promosso da Trump come un successo chiave della sua politica estera, presentato pubblicamente come il percorso che porterà la pace nella regione "per la prima volta da millenni". Ma Netanyahu è riluttante e sostiene che finché Hamas non sarà adeguatamente disarmato l'esercito israeliano non potrà smobilitare. Al momento, perciò, la situazione è in stallo, con le truppe israeliane che occupano oltre metà della Striscia. Trump ha riconosciuto le preoccupazioni del suo ospite, affermando che "è necessario il disarmo di Hamas". Ma è stato perentorio quando gli è stato chiesto quando inizierà la ricostruzione del territorio, devastato dopo due anni e mezzo di bombardamenti. "Penso che inizierà molto presto" ha detto, prima di aggiungere: "Lui non vede l'ora e anche io".
Non c'è solo il futuro di Gaza ad increspare le acque tra Trump e Netanyahu. Secondo Barak Ravid del sito di notizie Axios, nel corso dell'incontro Trump e i suoi principali consiglieri hanno chiesto esplicitamente al primo ministro di modificare le politiche di Israele nella Cisgiordania occupata. La preoccupazione americana è che un'escalation in Cisgiordania - alimentata dall'espansione delle colonie e da operazioni militari aggressive - possa compromettere sia la fragile intesa su Gaza sia l'obiettivo strategico di rilanciare gli Accordi di Abramo prima della fine del mandato di Trump. Il presidente e il suo team hanno confermato pubblicamente l'esistenza di divergenze e hanno chiesto a Netanyahu "di evitare azioni provocatorie e di calmare le acque". "Abbiamo avuto una lunga discussione, un'ampia discussione, sulla Cisgiordania. Non direi che siamo d'accordo al 100% sulla Cisgiordania, ma arriveremo a una conclusione" ha risposto Trump in conferenza stampa, e rifiutandosi di dire quali fossero i suoi disaccordi con Netanyahu riguardo alla Cisgiordania ha aggiunto: "Farà la cosa giusta. Lo so. Lo conosco molto bene. Farà la cosa giusta".
Anche sul fronte iraniano Trump ha adottato una postura ambigua: toni duri, ma senza spingersi verso l'ipotesi di cambio di regime, che settori del governo israeliano avevano apertamente evocato nel 2024. "Non parlerò di rovesciare un regime" ha detto Trump. "Hanno un sacco di problemi. Hanno un'inflazione tremenda, la loro economia è in crisi e so che la gente non è così contenta. Ma non dimenticate che ogni volta che scoppia una rivolta o qualcuno forma un gruppo, piccolo o grande, iniziano a sparare alla gente. Ancora più indicativa è la sua posizione sulla Siria. Trump ha espresso aperture verso il nuovo presidente siriano Ahmed al-Sharaa - recentemente ricevuto alla Casa Bianca nonostante il suo passato jihadista - invitando Netanyahu a "trovare un'intesa" con quello che Israele ha bollato come "terrorista islamico jihadista". "Spero che vada d'accordo con la Siria - ha detto Trump - perché il nuovo presidente siriano si sta impegnando molto per fare un buon lavoro. È un tipo tosto. [Ma] non può sperare di trovarsi un chierichetto a guidare la Siria". In conclusione, come osserva Ha'aretz, l'abbraccio pubblico di Trump a Netanyahu appare sempre più come una tattica negoziale piuttosto che un allineamento strategico pieno. Le divergenze tra Washington e Gerusalemme, infatti, non riguardano solo i tempi, ma gli obiettivi stessi. E tra i collaboratori del premier israeliano cresce il timore che sorrisi ed elogi nascondano non poche insidie e che Trump possa imporre all'attuale coalizione di governo scelte politicamente insostenibili.
Il commento
Di Alessia de Luca, ISPI
Al di là dei convenevoli e dei sorrisi a favore di telecamere, Donald Trump e Benjamin Netanyahu hanno avuto molto di cui parlare, e molto su cui confrontarsi. Mentre il primo punta a una tregua duratura che favorisca i suoi piani in Medio Oriente, il secondo vuole tenere la Striscia in un limbo, puntando a proseguire le operazioni militari. È una divergenza non solo tattica ma strategica: per Trump il tempo è una risorsa da capitalizzare sul piano diplomatico, per Netanyahu è un fattore da gestire per preservare equilibri interni sempre più fragili. Da qui l'ambiguità di un incontro che non produce nessuna visione per Gaza né per il futuro del Medio Oriente".