09/22/2025 | News release | Distributed by Public on 09/22/2025 03:30
Saggezza e malattia, esperienza e declino, prestigio e solitudine. La vecchiaia ha sempre avuto un ruolo ambivalente nel corso dei secoli. Il ruolo e la considerazione degli anziani nella società sono infatti cambiati a seconda dei modelli familiari e dei valori sociali ed economici tipici di ogni periodo storico. Anche oggi, con la fascia anziana che si appresta a diventare un quarto della popolazione, occorre rivedere alcune vecchie convinzioni ideologiche ed assistenziali. Se è vero che diventare anziani fa parte del ciclo della vita, è anche vero che l'anziano ha diritto ad una vita dignitosa.
Nelle epoche antiche, in cui la morte arrivava troppo presto, la barba e i capelli bianchi conferivano all'anziano un aspetto quasi soprannaturale, che incuteva rispetto; ma, quando scarseggiava il cibo, l'anziano veniva emarginato in quanto improduttivo. In vari periodi storici e in varie civiltà, infatti, l'uscita dal mondo del lavoro o l'inabilità (anche parziale) diventavano vere e proprie iatture nella vita sociale degli anziani, che dovevano essere assistiti dai familiari o dallo Stato e, a volte, venivano addirittura segregati. In epoca romana, al capofamiglia anziano veniva attribuito un grande valore, un'autorità senza limiti, ma già in epoca imperiale il potere del pater familias si era indebolito, come anche il potere del Senato, composto da anziani. E Seneca sosteneva che era meglio saper morire quando la vita diventava troppo penosa.
La speranza di vita alla nascita rimase a lungo molto bassa (raramente superava i 35 anni) e, quando la peste nera del 1348 sterminò oltre un terzo della popolazione europea risparmiando gli anziani, furono proprio gli anziani a trovarsi in difficoltà per almeno un secolo.
Nel Medioevo molti anziani sceglievano di ritirarsi in un monastero, non solo per "espiare i peccati", ma anche per sentirsi ancora parte di una comunità. Gli anziani poveri o infermi si affidavano alla carità pubblica o all'assistenza "hospitaliera", che affondava le proprie radici nella pietas cristiana. Anche le Confraternite (v.) che andavano costituendosi in quei secoli avevano spesso, tra i loro compiti, l'assistenza ai bisognosi; e un esempio locale è la Confraternita del Ss. Sacramento, fondata a Roncadelle intorno al 1540 con compiti devozionali e assistenziali.
Infine, furono le istituzioni ad impegnarsi per migliorare le condizioni di miseria diffuse, soprattutto per diminuire le tensioni sociali; i poveri, gli orfani e gli anziani erano percepiti come un pericolo per l'ordine sociale; proliferarono allora gli enti di beneficenza, favoriti dalle autorità religiose e politiche. Tra questi, venne realizzato a Brescia nel 1583 un "reclusorio" non solo dei poveri vecchi, "mendicanti ed impotenti", ma anche per "i putti e putte senza governo" e fu chiamato Ospedale dei mendicanti o Casa di Dio. Gli anziani che non erano supportati da una famiglia diventavano degli assistiti. Venezia nel 1528 dispose addirittura che i vecchi fossero rinchiusi negli ospedali insieme ai pazzi e ai malati. E fu questa la soluzione adottata a lungo, intrecciando la vita di molti anziani poveri a quella delle strutture ospedaliere.
Ci sono sempre stati comunque artisti, letterati, architetti, musicisti ultraottantenni che, pur soffrendo di inevitabili limitazioni fisiche, hanno prodotto capolavori, a dimostrazione che la creatività non ha età. Per la maggioranza della popolazione, "sorella morte" sopraggiungeva comunque presto, rispetto ai nostri parametri: "Il regime della mortalità nell'Europa pre-industriale era tale, per cui mediamente una donna che riusciva a raggiungere il termine del suo periodo di fecondità (45 anni) aveva di solito visto morire entrambi i suoi genitori, la maggioranza dei suoi fratelli e sorelle, più di metà dei suoi figli e spesso era anche vedova" (C.M. Cipolla).
Da un'analisi dei registri parrocchiali delle sepolture di Roncadelle dalla fine del '600 alla fine dell'800, si rileva che vi era un alto rischio di morte a tutte le età (soprattutto nei primi anni) e in tutti i ceti sociali, ma che era generalmente inferiore nelle famiglie benestanti, i cui componenti tendevano a vivere più a lungo. Il contingente maschile, che alla nascita superava quello femminile, subiva una grave falcidia già nei primi anni di vita. Nell'età giovanile e adulta (tra i 16 e i 35 anni) era invece la donna a subire la maggiore mortalità (62% dei decessi) spesso dovuta ai rischi della maternità. Il numero delle persone che riuscivano a diventare anziane era percentualmente molto inferiore a quello attuale, ma non mancavano anziani di età molto avanzata. Le malattie infatti non prevalevano sugli organismi più resistenti, che venivano anzi irrobustiti dalla lotta contro di esse. La speranza di vita alla nascita non raggiungeva i 30 anni. L'età media nel periodo 1760-1860 si mantenne costantemente intorno ai 28 anni. La probabilità di vita a 5 anni saliva rapidamente (48 anni) perché i rischi maggiori erano stati superati. A 25 anni la probabilità di vita raggiungeva i 58 anni; a 45 anni si poteva sperare di viverne altri 20, mentre per chi raggiungeva i 65 anni la probabilità era di viverne altri 9.
Negli ambienti rurali, quale era Roncadelle, per tutto l'800 e parte del '900 la famiglia patriarcale assegnava un ruolo importante agli anziani, che trasmettevano le loro conoscenze ed esperienze, che spesso prendevano le decisioni e fornivano le direttive e, inoltre, contribuivano con lavori marginali all'economia familiare. Gli anziani erano la riserva sapienziale della famiglia e della popolazione. Il patrimonio di valori, usanze, tradizioni, credenze, proverbi, filastrocche, ecc., è arrivato fino a noi grazie agli anziani, che lo hanno trasmesso (quasi sempre oralmente) di generazione in generazione. Lo stesso dialetto (v.) è derivato dall'uso persistente e dalle modifiche da loro effettuate.
All'inizio dell'Ottocento l'amministrazione napoleonica, per ridurre gli sprechi nell'assistenza, riorganizzò "la carità" anche nel Bresciano, dove proliferavano gli enti di assistenza e beneficenza, attribuendola a tre settori: ospedali, istituti di ricovero ed enti elemosinieri. Per provvedere all'assistenza (v.) dei bisognosi, fu istituita in ogni Comune la Congregazione di Carità, che nel 1890 venne sottoposta al controllo dello Stato e nel 1937 diventò Ente Comunale Assistenza; mentre le Opere Pie e gli Enti Morali vennero trasformati in Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza.
L'industrializzazione rimarcò "l'inutilità" di chi non lavorava più. Si moltiplicarono strutture come gli ospizi, che escludevano gli anziani dalla società e incarnavano l'ideale di efficienza e controllo, tipico della nuova mentalità borghese.
Intanto, gli infortuni sul lavoro colpivano sempre più spesso gli operai e i contadini e, nei casi più gravi, esponevano le loro famiglie alla miseria. Fu allora che, sotto la spinta delle idee socialiste e della dottrina sociale cristiana di Leone XIII, nacquero le Società di Mutuo Soccorso con lo scopo di offrire sussidi economici ai soci in caso di malattia o infortunio e di fornire assistenza ai congiunti dei soci deceduti, oltre che promuovere attività educative e culturali. A Roncadelle sorse nel 1889, col sostegno del parroco don Giulio Tadini, la Società Operaia Cattolica di Mutuo Soccorso, che mantenne vivo quel senso di solidarietà umana, che si andava appannando.
Si fece strada allora anche l'idea di una previdenza sociale nazionale, che tutelasse i lavoratori sotto vari aspetti. Nel 1883 venne istituita la Cassa Nazionale di Assicurazione per gli Infortuni sul Lavoro, che offriva ai "padroni" la possibilità di assicurare a minor costo i propri dipendenti. L'adesione, inizialmente facoltativa, divenne obbligatoria per il settore industriale dal 1898 e per il settore agricolo dal 1917. E nel 1933 si trasformò in I.N.A.I.L.
Il sistema pensionistico, già in vigore per i dipendenti civili e militari dello Stato dal 1864, venne esteso ai dipendenti privati dal 1898 con l'istituzione della Cassa Nazionale di Previdenza per l'invalidità e la vecchiaia degli operai. Si trattava di un'assicurazione volontaria, finanziata dai contributi dei dipendenti e integrata da un incentivo dello Stato e da un libero contributo degli imprenditori. Solo dal 1919 venne resa obbligatoria l'assicurazione per i dipendenti dell'industria e dell'agricoltura presso la Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali, che nel 1933 venne chiamata I.N.F.P.S. e nel 1943 assunse l'attuale denominazione di I.N.P.S.
In epoca fascista vennero introdotti anche gli assegni familiari per i figli a carico, sia per compensare la diminuzione salariale a seguito della riduzione dell'orario di lavoro, sia per incentivare lo sviluppo demografico. Nel 1939 l'età legale per la pensione di vecchiaia, che dal 1919 era stata fissata a 65 anni per uomini e donne, venne ridotta a 60 anni per gli uomini e a 55 per le donne. L'ammontare delle prestazioni previdenziali era proporzionato ai contributi versati, secondo i principi corporativi.
La Costituzione repubblicana considerò invece la tutela previdenziale come espressione di una solidarietà estesa a tutti i cittadini, trattandosi di un interesse di tutta la collettività poter fornire a tutti "mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia" (art. 38). I contributi dei lavoratori attivi dovevano finanziare le pensioni dei lavoratori a riposo. Nel 1952 venne introdotta la pensione minima per garantire a tutti un minimo vitale. Nel 1957 l'assicurazione per invalidità e vecchiaia venne estesa ai coltivatori diretti, mezzadri e coloni. Poi si arrivò persino, per motivi elettorali, alle "baby pensioni" per alcune categorie di dipendenti statali e politici (1973) e, per motivi vari, vennero introdotte diverse forme di prepensionamento, che costrinsero i governi successivi a correggere la rotta ed aumentare l'età pensionabile, adeguandola anche all'aspettativa di vita in costante crescita.
Negli ultimi decenni, la fascia di popolazione definita anziana (tradizionalmente riferita agli over 65) si è infatti caratterizzata da un progressivo aumento sia quantitativo che qualitativo, a causa delle conquiste medico-sanitarie e delle migliorate condizioni economiche e sociali, tanto che si tende ora a riferire l'anzianità agli over 75. Contemporaneamente vi è stato un progressivo calo delle nascite, per cui la percentuale degli anziani sul totale della popolazione è aumentata considerevolmente.
A Roncadelle nel 1951 vi erano 156 anziani con più di 65 anni (pari al 4,7% della popolazione); nel 1981 erano diventati 454 (pari all'8,3%); nel 2004 hanno superato quota 1.000 (12,7%) e nel 2024 sono balzati oltre i 2.000 (22,3%), con 600 ultraottantenni.
L'invecchiamento è un graduale declino naturale, la cui progressione è influenzata dai fattori genetici, dall'ambiente e dallo stile di vita. È quindi molto variabile da individuo a individuo. Molti anziani sono perfettamente indipendenti e molto attivi nel campo del volontariato o nell'ambito lavorativo; altri, a parità di età anagrafica, sono invece bisognosi di assistenza nello svolgimento di alcune attività quotidiane; altri ancora si trovano in una situazione di fisiologica vulnerabilità (incontinenza urinaria, instabilità posturale, sintomi depressivi, decadimento cognitivo), che viene definita fragilità.
Il cambiamento demografico, che ha trasformato il ruolo degli anziani nella società, ripresenta però (per una parte di essi) antiche problematiche legate all'isolamento sociale e alla "cultura dello scarto". Anche se sono scomparse numerose patologie che in passato accompagnavano la vecchiaia, altri disturbi fisici e cognitivi rendono attualmente fragile la vita dell'anziano, soprattutto dopo i 75 anni, e creano gravosi oneri assistenziali e fattori traumatici per i familiari che, assistendo l'anziano non autosufficiente, devono riadattare i propri stili di vita affettivi, lavorativi, del tempo libero, ecc.
Degli anziani si sono andati quindi occupando vari enti e istituzioni. A Roncadelle nel 1974 è stata aperta la Casa di Riposo (v.) per 50 ospiti, presieduta dal parroco, che nel 2003 si è trasformata in R.S.A. proprio per poter assistere gli anziani non autosufficienti, che andavano aumentando.
Dagli anni '70 anche l'Amministrazione comunale ha rivolto grande attenzione agli anziani e, con periodiche indagini conoscitive, ha cercato di adeguare i propri interventi alle loro richieste. Si sono attuate così varie iniziative, come soggiorni climatici, corsi di ginnastica, Festa degli anziani, gite e incontri culturali, attività ricreative e sportive; si sono realizzati un Centro Sociale (v.) e alcuni monolocali e bilocali adeguati alle loro necessità; inoltre, tramite i Servizi Sociali del Comune, si è continuato a fornire agli anziani in difficoltà un contributo per il pagamento degli affitti, del riscaldamento, delle rette, ecc. Alcuni interventi socio-assistenziali sono stati affidati all'Azienda Speciale consortile "Ovest solidale" nata in associazione tra 11 Comuni della zona ad ovest di Brescia.
Ma è rimasta ancora la famiglia il maggior riferimento e sostegno per molti anziani fragili o non autosufficienti. Ed è soprattutto la donna a farsene carico, anche se non è certo un compito facile: oltre alla esecuzione di pratiche materiali, vengono infatti stravolti gli aspetti organizzativi della famiglia e gli assetti relazionali, tanto da dover chiedere spesso aiuto alle istituzioni. Per questo, il Comune ha attuato l'assistenza domiciliare e, insieme alla "Residenza Berardi Manzoni", ha messo a disposizione una serie crescente di servizi, come il Centro Diurno, la Fisioterapia, i Pasti a domicilio, alcuni miniappartamenti protetti. L'assistenza domiciliare è andata aumentando, sia perché le strutture ospedaliere devono limitare le lunghe degenze, sia per la scarsa disponibilità di fondi pubblici, sia soprattutto per il fatto che l'anziano difficilmente accetta di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in un ambiente diverso da quello in cui ha sempre vissuto, la sua casa, circondato da familiari e amici. Se da una parte si ritiene quindi opportuno lasciare che l'anziano viva il più a lungo possibile nel proprio contesto vitale e familiare, evitandogli stati di solitudine e di emarginazione, dall'altra si riconosce che il carico dell'assistenza non può ricadere esclusivamente sulla famiglia, che ha bisogno di "prendere respiro" almeno per qualche ora al giorno e qualche settimana all'anno. La soluzione adottata è una maggiore collaborazione tra servizi sociali e nucleo familiare; senza dimenticare il fondamentale apporto della rete sociale: i gruppi di volontariato, i parenti, gli amici e i vicini di casa, che sono risorse fondamentali da coinvolgere, in modo che la cura avvenga nella propria comunità.
Agli anziani autosufficienti vengono continuamente fornite indicazioni e raccomandazioni riguardo l'alimentazione, l'attività motoria, i controlli medici periodici, ecc., perché la prevenzione aiuta a vivere meglio e più a lungo. Vi sono anche molte opportunità per migliorare il benessere psico-fisico, momenti di socializzazione e di conoscenza, strutture sportive, attività di volontariato, biblioteca civica, corsi organizzati di ginnastica o di cultura, gruppi in cammino, ecc.
Non si può comunque nascondere o sottovalutare la crescente fragilità dell'anziano che, oltre a sentirsi sempre meno efficiente, soffre spesso un senso di abbandono e di inutilità. Il momento della pensione è sentito a volte come il capolinea della vita: si perdono ruolo, importanza, amici e senso della propria esistenza. E nel tempo dell'affermazione individuale, in un mondo in cui sembra che si possa realizzare ogni desiderio e far scomparire ogni sofferenza, la vecchiaia appare una sciagura. "Che bröt a dientà ècc" si sente spesso dire; è una considerazione che risuona da molte generazioni. Tra tanti anziani che dicono "non è ancora il momento di tirare i remi in barca", si sentono anche anziani (che magari hanno fatto sacrifici incredibili in passato per aiutare i familiari) dire di non voler pesare sugli altri, augurandosi di morire presto, di andarsene in punta di piedi per non gravare sugli altri. Oppure, anziani che, non riuscendo a stare al passo con le rapide trasformazioni in atto, si lasciano andare. È il rassegnarsi ad una concezione individualista dell'esistenza umana, che non considera più la complementarietà, l'interdipendenza tra le persone. Ed è la premessa per scelte drammatiche, che comportano delicate questioni etiche. Se è vero che "la qualità di una società, vorrei dire di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune", come dichiarò Benedetto XVI poco tempo prima delle sue dimissioni da papa, diventa sempre più necessario contribuire a promuovere una società più umana, basata sulla fraternità, ed una vita più dignitosa per tutti, anche per gli anziani in difficoltà: chi sta male e si sente fragile riprende forza nel vedere di essere amato e curato, e i suoi giorni riacquistano colore e senso.